Alla scoperta del friendshoring: spostamento delle operazioni in Asia e China+1

Posted by Written by Arendse Huld Reading Time: 10 minutes

In un’epoca caratterizzata da una crescente globalizzazione, tensioni geopolitiche e cambiamenti economici, le aziende di tutto il mondo valutano costantemente le proprie strategie per garantire resilienza e sostenibilità. Un concetto relativamente nuovo che ha attirato l’attenzione negli ultimi anni è il cosiddetto friendshoring, un approccio strategico all’offshoring o all’outsourcing che privilegia i Paesi con cui la nazione d’origine di un’azienda condivide relazioni diplomatiche, economiche o commerciali amichevoli.

In Cina, a fronte delle crescenti tensioni commerciali e politiche, dell’aumento del costo del lavoro e del cambiamento demografico a lungo termine, sempre più aziende stanno diversificando le loro attività spostando le operazioni in altri Paesi, soprattutto nei settori considerati “sensibili”. Tuttavia, la Cina continua ad offrire una serie di vantaggi strategici, quali catene di approvvigionamento complete, infrastrutture altamente sviluppate e ricchezza di talenti, competenze e know-how. Rimane inoltre uno dei più grandi mercati di consumo, capace di attrarre aziende da tutto il mondo.

Per questi motivi, è improbabile che le aziende già presenti in Cina abbandonino completamente il mercato. Piuttosto, molti investitori stanno optando per integrare l’operatività cinese con input a basso costo da stabilimenti produttivi situati in mercati come Vietnam e Indonesia, con l’obiettivo di diversificare le operazioni e ridurre al minimo i rischi di interruzioni commerciali e della catena di approvvigionamento. Nonostante la struttura di tali operazioni vari notevolmente a seconda del Paese coinvolto, questo modello produttivo è comunemente conosciuto come “China+1″.

I Paesi che possono trarne vantaggio sono generalmente quelli che offrono manodopera a basso costo, ma dispongono anche di infrastrutture e catene di approvvigionamento relativamente sviluppate, nonché integrate con la regione più ampia e il mercato finale. Per le aziende intenzionate a mantenere le attività in Asia, l’elenco dei potenziali candidati include, tra gli altri, Malesia, Vietnam, Indonesia e India.

Sebbene questi Paesi offrano alternative a basso costo rispetto alla Cina, anche mercati come la Corea del Sud e il Giappone possono rappresentare destinazioni ideali per la produzione di alto valore e l’innovazione tecnologica, dove i Paesi occidentali, in particolare, possono beneficiare di stretti legami commerciali e politici con le loro nazioni d’origine.

In questo articolo esaminiamo le possibili destinazioni per il friendshoring, concentrandoci sulle relazioni dei principali Paesi asiatici con gli Stati Uniti e l’Europa.

Commercio e investimenti negli Stati Uniti con i mercati chiave

Paese/area geografica

Commercio bilaterale con gli Stati Uniti (2022)

IDE USA (2021) in Paese/area geografica

Accordi commerciali e di investimento

ASEAN

505,8 miliardi di dollari (esclusi Cambogia, Laos e Myanmar)

 

40,2 miliardi di dollari

 

Nessuno

Vietnam

138,8 miliardi di dollari

 

2,7 miliardi di dollari

 

TIFA USA-Vietnam

 

Malaysia

72,9 miliardi di dollari

 

12,5 miliardi di dollari

 

TIFA Stati Uniti-Malesia

 

Indonesia

44,4 miliardi di dollari

15,7 miliardi di dollari

Nessuno

India

119,42 miliardi di dollari

45,4 miliardi di dollari

Nessuno

Corea del Sud

187,5 miliardi di dollari

38,1 miliardi di dollari

Accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Corea del Sud

Giappone

230 miliardi di dollari

118,8 miliardi di dollari

Accordo di libero scambio USA-Giappone per i minerali critici

Cina

690,6 miliardi di dollari

118,2 miliardi di dollari

Nessuno

Fonte: Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, US Census Bureau, UNCTAD

Commercio e investimenti dell’UE nei mercati chiave

Paese/area geografica

Scambi bilaterali con l’UE (2022)

Stock di IDE dell’UE (2021) per paese/area geografica

Accordi commerciali e di investimento

ASEAN

290,4 miliardi di dollari

 

370,3 miliardi di dollari (2020)

 

Accordo di cooperazione ASEAN-UE

Vietnam

68,7 miliardi di dollari

 

27,8 miliardi di dollari (2022)

 

Accordo di cooperazione Vietnam-UE

Malaysia

53,8 miliardi di dollari

 

30,4 miliardi di dollari (2021)

 

Nessuno

Indonesia

34,8 miliardi di dollari

21,6 miliardi di dollari (2021)

Nessuno

India

122 miliardi di dollari

91 miliardi di dollari

Accordo di cooperazione UE-India

Corea del Sud

139,6 miliardi di dollari

69,7 miliardi di dollari (2021)

Accordo di libero scambio UE-Corea del Sud

Giappone

149,6 miliardi di dollari

89,6 miliardi di dollari (2021)

Accordo di partenariato economico UE-Giappone

Cina

905,7 miliardi di dollari

246,4 miliardi di dollari (2021)

Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione UE-Cina

Fonte: Eurostat, UNCTAD

Reshoring nei Paesi dell’ASEAN

Tra i Paesi che trarranno i maggiori benefici dal friendshoring o da una strategia China+1 ci sono i 10 Paesi dell’ASEAN, i quali offrono il vantaggio di un ambiente a costi più bassi e fanno parte di molteplici trattati commerciali multilaterali che facilitano il commercio di beni.

Questi trattati includono l’accordo di libero scambio Cina-ASEAN, che elimina i dazi sulla maggior parte delle merci scambiate tra la Cina e i Paesi dell’ASEAN. Il Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP), inoltre, nei prossimi 20 anni mira a rimuovere i dazi sul 90% delle merci scambiate tra i Paesi membri. Il trattato ha attualmente 14 membri attivi: i 10 Paesi dell’ASEAN tranne il Myanmar, più Cina, Corea del Sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda.

Questo partenariato stimolerà maggiori investimenti attraverso la strategia China+1 verso i membri a basso costo dell’accordo, come Malesia, Indonesia e Vietnam, per attività ad alta intensità di manodopera, come la produzione di abbigliamento.

Grazie a questi trattati, le aziende intenzionate a spostare le operazioni nei Paesi del Sud-est asiatico potranno continuare a beneficiare dei vantaggi delle catene di approvvigionamento integrate. Gli accordi commerciali regionali permetteranno loro di rifornirsi di materiali e componenti dalla Cina a costi vantaggiosi e con minori ritardi. Inoltre, i trattati consentono alle aziende un accesso facilitato ad un maggior numero di mercati, inclusi quelli a costi più elevati come il Giappone e la Corea del Sud, o a grandi bacini di consumatori in economie in rapida crescita come la Malesia e l’Indonesia.

Tra i possibili destinatari all’interno dei 10 Paesi membri dell’ASEAN, Indonesia, Malesia e Vietnam spiccano come candidati ideali, grazie alla loro numerosa popolazione, al grado di sviluppo di industrie e delle catene di approvvigionamento, all’alto potenziale di crescita e alle relazioni amichevoli con gli Stati Uniti e l’Europa.

Indonesia

L’Indonesia è il Paese con la popolazione più numerosa del Sud-est asiatico e il quarto a livello mondiale. Inoltre, è un’economia in forte espansione: secondo le stime della Standard Chartered Bank, l’economia del Paese passerà da 4,2 trilioni di dollari nel 2020 a 10,1 trilioni di dollari entro il 2030, diventando la quarta economia mondiale per parità di potere d’acquisto.

Il Governo indonesiano ha anche lavorato attivamente per migliorare l’ambiente imprenditoriale per gli investitori esteri istituendo diverse zone economiche speciali (ZES) ispirate al modello cinese. Queste aree mirano a favorire lo sviluppo di settori chiave, offrendo un ambiente ottimale.

Le ZES sono progettate per massimizzare la disponibilità delle risorse locali e soddisfare le industrie a monte e a valle in settori specifici, come il turismo, i data center e la logistica. In queste zone le società straniere possono anche godere di vari incentivi fiscali e non fiscali come, inclusi processi di immigrazione semplificati, riduzioni dell’imposta sul reddito delle società, esenzioni su dazi all’importazione e accise.

Malesia

Per le aziende interessate a espandere la propria presenza in Asia, la posizione geografica strategica della Malesia nel Sud-est asiatico la rende una porta d’accesso privilegiata ai mercati regionali. La sua vicinanza alle principali economie asiatiche, come Singapore e Indonesia, ne facilita l’efficienza delle reti di distribuzione e l’accesso a una base di consumatori in crescita.

Il Paese dispone di un’infrastruttura consolidata con porti moderni, reti di trasporto e parchi industriali, che possono ridurre significativamente le difficoltà logistiche e i costi correlati al reshoring. L’ambiente politico stabile e il solido quadro giuridico della Malesia creano un contesto imprenditoriale favorevole, garantendo sicurezza e affidabilità agli investitori.

La forza lavoro della Malesia, altamente qualificata e istruita, rappresenta una risorsa fondamentale. Con competenze che spaziano dall’elettronica e automotive fino all’aerospaziale e ai dispositivi medici, offre alle aziende opportunità di attingere da un pool di talenti immediatamente disponibile.

Inoltre, la Malesia è considerata un Paese “amico”, grazie alle sue relazioni diplomatiche stabili ed ai forti legami commerciali e di investimento con gli Stati Uniti e l’Europa. Gli Stati Uniti sono il terzo partner commerciale della Malesia, dopo Cina e Singapore, e la più grande fonte di investimenti diretti esteri nel Paese.

La Malesia è stata riconosciuta anche per il suo potenziale nella produzione di elettronica e semiconduttori. Nel maggio 2022, gli Stati Uniti e la Malesia hanno firmato un memorandum di cooperazione (MOC) al fine di creare “catene di approvvigionamento di semiconduttori resilienti, sicuri e sostenibili”. Il MOC cerca di promuovere gli investimenti nella catena di approvvigionamento dei semiconduttori.

Vietnam

Il Vietnam sta emergendo come una delle principali destinazioni per le aziende che cercano di diversificare i propri investimenti rispetto alla Cina. La sua vicinanza alla Cina, i costi fondiari e del lavoro più bassi, insieme alla giovane età della forza lavoro ne fanno una destinazione ideale per una strategia China+1, in particolare per settori come la produzione elettronica.

Il Vietnam ospita già un’industria manifatturiera consolidata, con infrastrutture relativamente mature e una forza lavoro qualificata, facilitando così la transizione produttiva dalla Cina e assicurando continuità produttiva.

Rispetto alla Cina, Il Vietnam ha un mercato del lavoro competitivo e relativamente più economico. Nel 2022, il salario minimo mensile in Vietnam variava da 140 a 202 dollari a seconda della regione, rispetto ai 197-370 dollari della Cina continentale.

Le catene di approvvigionamento dei due Paesi rimangono profondamente integrate. Nel 2022, le importazioni del Vietnam in Cina hanno raggiunto i 117,87 miliardi di dollari. Di conseguenza, spostare la produzione in Vietnam non comporterebbe l’esclusione della Cina, visto che molti materiali e componenti sono ancora di origine cinese.

Le aziende europee possono inoltre beneficiare dell’accordo di libero scambio UE-Vietnam (EVFTA), entrato in vigore il 1° agosto 2020, che elimina quasi il 99% dei dazi doganali tra l’UE e il Vietnam. Secondo il Ministero della Pianificazione e degli Investimenti del Vietnam (MPI), l’EVFTA dovrebbe far aumentare le esportazioni del Vietnam verso l’UE del 42,7% entro il 2025.

Gli Stati Uniti hanno espresso un forte sostengo per il Vietnam come destinazione per il friendshoring, in particolare per i settori strategici come i semiconduttori. Durante la sua recente visita di Stato in Vietnam, il Presidente Joe Biden e il Segretario Generale Nguyen Phu Trong hanno annunciato il Partenariato strategico globale USA-Vietnam. Nell’ambito di questa partnership, gli Stati Uniti sosterranno lo sviluppo dell’industria dei semiconduttori del Vietnam, così come la produzione di elettronica più in generale, riconoscendo “il potenziale del Vietnam nello svolgimento di un ruolo fondamentale nella creazione di catene di approvvigionamento resilienti dei semiconduttori”.

Reshoring in India

L’India trarrà enormi benefici dalle tendenze di reshoring, puntando a espandere in modo significativo la propria industria manifatturiera.

Con un mercato vasto e diversificato, una classe media in espansione e una base di consumatori che cresce rapidamente, il Paese rappresenta una destinazione interessante per le aziende che desiderano attingere a un ampio mercato interno, riducendo al contempo la loro dipendenza dalle esportazioni.

L’India sta già cominciando ad attrarre produttori stranieri, in particolare nel settore dell’elettronica. Il Ministero indiano dell’Elettronica e della Tecnologia dell’Informazione (MeitY) prevede che il settore manifatturiero dell’elettronica raggiungerà un valore di 300 miliardi di dollari entro il 2026, un notevole aumento rispetto ai 75 miliardi di dollari del 2022. Apple ha espresso l’intenzione di espandere i suoi impegni di approvvigionamento in India, mentre Google Pixel starebbe valutando la possibilità di spostare una parte della sua produzione di dispositivi nel Paese.

L’India offre anche una forza lavoro ampia e qualificata, inclusi ingegneri, tecnici e lavoratori con esperienza in vari settori, come quelli farmaceutico, automobilistico ed elettronico. La disponibilità di una forza lavoro qualificata aiuta a garantire una transizione agevole e continuità produttiva durante le operazioni di reshoring.

Inoltre, le recenti riforme economiche e i miglioramenti nella facilità di fare affari hanno creato un clima più favorevole agli investimenti. Gli incentivi fiscali, i procedimenti normativi semplificati e gli accordi commerciali hanno reso più facile per le aziende stabilire ed espandere le loro operazioni nel Paese.

L’India beneficia anche di legami relativamente forti e stabili con i Paesi occidentali, e in particolare con gli Stati Uniti. Nel giugno di quest’anno, gli Stati Uniti hanno accolto il Primo Ministro indiano Narendra Modi in una visita di Stato di quattro giorni, recentemente ricambiata dal Presidente Joe Biden. Queste visite hanno portato a una serie di impegni tra i due Paesi anche per approfondire la collaborazione in settori chiave, tra cui le “collaborazioni nella ricerca scientifica e tecnologica delle innovazioni biotecnologiche e della biofabbricazione”, collaborazioni accademiche e industriali in settori ad alta tecnologia, tra cui la ricerca sui semiconduttori, i sistemi di comunicazione di prossima generazione, la sicurezza informatica, la sostenibilità e le tecnologie verdi e i sistemi di trasporto intelligenti.

I due leader hanno anche rinnovato l’impegno a promuovere “la condivisione della tecnologia, lo sviluppo sinergico e le opportunità di produzione congiunta tra l’industria, l’amministrazione e le istituzioni accademiche indiane e statunitensi”.

Reshoring in Giappone e Corea del Sud

Anche se il Giappone e la Corea del Sud sono destinazioni considerevolmente più costose per il reshoring della produzione, gli stretti rapporti di questi Paesi con l’Occidente e la forza lavoro altamente qualificata li rendono comunque destinazioni attraenti per il reshoring.

Sebbene molte aziende, in particolare quelle impegnate nella produzione ad alta intensità di manodopera, non saranno in grado di spostare la produzione dalla Cina al Giappone e alla Corea del Sud a causa degli elevati costi di manodopera, l’alto livello di istruzione e formazione, le infrastrutture sviluppate e le catene industriali mature, rendono questi Paesi un’opzione da prendere in considerazione per la produzione di beni e servizi di alto valore. La localizzazione della produzione può anche essere vantaggiosa per le aziende che si rivolgono al ricco bacino di consumatori nazionali.

Entrambi i Paesi sono conosciuti per le loro avanzate capacità tecnologiche e le industrie orientate all’innovazione. La loro forza lavoro altamente qualificata e un solido ecosistema di ricerca e sviluppo li rendono luoghi attraenti anche per le aziende che cercano l’innovazione di nuovi prodotti e tecnologie.

I due Paesi si distinguono nelle industrie high-tech: la Corea del Sud nei semiconduttori e nelle produzioni di precisione, mentre il Giappone nelle automobili, nella robotica e nelle biotecnologie.

Il Giappone e la Corea del Sud hanno stretti rapporti con l’UE e gli Stati Uniti, oltre che con altri Paesi occidentali. È attualmente attivo un accordo di libero scambio dell’UE con la Corea del Sud che elimina i dazi su quasi tutte le merci scambiate tra la Corea del Sud e il blocco europeo.

Le aziende occidentali si stanno davvero trasferendo fuori dalla Cina?

Nonostante il crescente interesse intorno ai benefici del friendshoring, vale la pena analizzare l’effettiva realizzazione di questa tendenza e valutare quanto sia fattibile ridurre la dipendenza dalla Cina.

Anche se per le aziende è possibile delocalizzare in altri Paesi asiatici, l’enorme dipendenza del mondo dalla Cina per un’estesa gamma di materie prime e componenti rende chiaro che spostare le operazioni in un altro Paese non significa tagliare fuori la Cina dalla catena di approvvigionamento globale. Come osservato in un rapporto del Rhodium Group, “poiché le catene globali del valore sono particolarmente intrecciate con la Cina, la diversificazione non si tradurrà necessariamente in una riduzione della dipendenza dagli input e dai fornitori cinesi nel breve e medio termine”.

Il Rhodium Group ha anche osservato che, a causa del predominio della Cina in settori come quello manifatturiero, “anche cambiamenti sostanziali” nella produzione delle aziende verso altri Paesi non avrebbero un impatto significativo sulla quota complessiva della Cina nel settore. Tuttavia, a causa delle dimensioni relativamente ridotte delle industrie e delle economie nelle possibili destinazioni del reshoring, questo cambiamento “può innescare importanti impatti economici, industriali e logistici sui nuovi Paesi di destinazione”.

Questi risultati suggeriscono che il friendshoring potrebbe non essere sufficiente a diminuire in modo significativo la dipendenza delle aziende dalla Cina, almeno nel breve termine. Tuttavia, questo non implica che sia inopportuno per le aziende spostare alcune operazioni in altri Paesi. Ad esempio, è significativo che le aziende cinesi stiano spostando sempre più spesso le operazioni fuori dalla Cina, spinte sia dalle tensioni geopolitiche che dall’aumento dei costi a livello nazionale.

Il Governo cinese, consapevole dei grandi cambiamenti in corso nella forza lavoro cinese, sta anche cercando di spostare attivamente l’industria cinese verso l’alto nella catena del valore, concentrandosi maggiormente sulla produzione di fascia alta e avanzata, puntando al settore dei servizi e al consumo interno come motori di crescita economica sostenibile nel lungo termine.

“Man mano che le aziende continuano a spostare le attività di produzione e assemblaggio in questi mercati, costruiranno ulteriormente le catene di approvvigionamento a livello locale. Questi Paesi sono destinati a risalire sempre di più la catena del valore, con una quantità crescente di componenti di input acquistati localmente e non dalla Cina”, afferma Kyle Freeman, partner di Dezan Shira & Associates.

Man mano che la Cina si orienta verso un’economia basata sui servizi, si confronta con l’invecchiamento della popolazione, la contrazione della forza lavoro e l’incremento dei costi del lavoro, diventa quasi inevitabile che le aziende considerino la delocalizzazione verso un paese con costi più contenuti.

Nonostante ciò, è probabile che la Cina mantenga la propria competitività grazie all’innovazione nell’industria manifatturiera, ai vantaggi offerti dalla sua catena di approvvigionamento, a un ampio bacino di consumatori e all’accesso agevolato a numerosi mercati tramite accordi commerciali bilaterali e multilaterali.